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SELF-PORTRAITS - AUTORITRATTO - TRANSITO MENTALE 

I miei autoritratti nascono come risposta al bisogno che ho di rappresentare tutte le persone che trovo in me attraverso il «transito mentale» ovvero quella/o/e che sono ogni giorno, ogni volta una/o/e differente. I miei dipinti sono opere che faccio in un’unica giornata, la sbavatura in questo caso fa sì che non si delimitino i lineamenti e i volti non rappresentino un genere nello specifico.

Lo sfondo bianco ricorda la fototessera nei documenti, la frontalità del volto è sempre stata utilizzata per l’identificazione, i miei ritratti quindi cercano, nell’effimero, di rappresentare un’identità che vive in me però che prova a vivere in costante movimento fra un genere e l’altro, creando così una rottura con l’idea binaria imposta socialmente.

Il genere del ritratto e il ritratto del genere

Forse c’è un preciso punto in cui l’immagine di un viso umano, sottoposta a una progressiva evanescenza, perde i propri caratteri individuali per trasformarsi nella base comune di qualsiasi volto.  Ben prima di arrivare a quel crocevia fisionomico, seguendo questo ipotetico esperimento, si dovrebbero incontrare altre biforcazioni identitarie, che riguardano l’età, il colore della pelle, il sesso e varie altre categorie entro le quali si è soliti descrivere il genere umano.  Quello del ritratto è uno tra i più antichi generi che l’arte ha fatto nascere, ma si può affermare che la tradizione del ritratto funerario sviluppatosi nell’antica Roma e nei secoli del suo impero, abbia posto le basi dell’interpretazione artistica di un individuo, raffigurato attraverso caratteri che lo distinguono da ogni altra persona. Nemmeno la Grecia e nemmeno gli scultori dell’ellenismo erano giunti a questo, per via di una idea del Bello che finiva col ricondurre ogni volto verso quella che, per l’appunto, noi chiamiamo idealizzazione. Quel principio di correzione greco, in fondo, fu un antico e fortunato tentativo di ridurre le identità e le differenze a una sorta di radice comune attraverso un ricercatissimo canone di Bellezza. Ci sono volti di efebi in alcune sculture, del IV e V secolo avanti Cristo, che restano perfettamente sospesi tra maschile e femminile, parlandoci di una giovinezza che accomunava i generi in un crocevia che si collocava nella primavera dell’esistenza umana.
 

Le opere recenti di Massiel Leza cercano a loro modo di indagare il confine tra femminile e maschile, proprio agendo sul terreno dell’evanescenza di un volto. Attraverso la tecnica, per nulla semplice, dell’acquerello sottopongono i caratteri individuali ad un dilavamento che li stempera e li sbava, come un rossetto che esce dai margini della bocca, per invadere le guance. La ridotta definizione non è tuttavia solo atto sottrattivo, ma aggiunge un senso di movimento che in alcuni casi diviene un vero e proprio respiro dell’immagine. Si può anche dire che quello smarrimento crei una nuova identità, ponendola nel terreno dell’interpretazione, di una volontaria trasfigurazione che cerca di oltrepassare quel limite convenuto.
 

 

Massimo Pulini

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